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19 Luglio 2022 by MariaElena-tetra adolescenza, barca a vela, dispersione scolastica, estate, mare, News, Promo, Student Life, vela solidale 0 comments

Adolescenti e Pandemia. Come “A scuola per mare” si sta adattando alle nuove esigenze dei giovani

Nuove fragilità, nuovi bisogni. Anche il progetto “A Scuola per Mare” avverte il cambiamento che sta interessando gli adolescenti reduci dal biennio di isolamento sociale obbligato e di prolungata didattica a distanza. L’esperienza del modulo primaverile ha messo in evidenza una serie di particolari fragilità dei ragazzi esplose durante il periodo di navigazione. Un contesto nuovo che richiama la necessità di re-orientare l’offerta educativa del progetto per meglio rispondere alle esigenze che sono emerse.

Ne abbiamo parlato con Gabriele Gaudenzi, responsabile di A Scuola per Mare?

Qual è la realtà che avete incontrato in barca?

Ci stiamo confrontando con un mondo che non è quello pre pandemia, che non è quello del 2018 quando abbiamo scritto il nostro progetto. Ovviamente non è una valutazione solo nostra, è ciò che ha constatato la generalità degli attori – penso alle realtà del Terzo Settore ma anche alle istituzioni pubbliche – che hanno la mission di lavorare con i ragazzi. Ci si trova di fronte persone che portano i segni di una dimensione di fatica e sofferenza diversa da quella che era solo tre anni fa.

Qual è stato il momento più difficile durante l’ultima navigazione?

La gestione del gruppo è stata complessa praticamente sin dalla fase di avvio. Di momenti difficili purtroppo ce ne sono stati diversi. In generale possiamo dire che abbiamo avvertito subito quanto i ragazzi facessero fatica a stare in equilibrio. Abbiamo assistito a crisi di rabbia, autolesionismo. Per fortuna non ci sono state situazioni gravi, ma non è stato semplice affrontare nel migliore dei modi questi scoppi di violenza.

C’è una relazione tra queste situazioni di disagio e l’esperienza della Pandemia?

Non ho elementi scientifici, ovviamente, per stabilire un rapporto diretto di causa-effetto tra la Pandemia e la situazione dei ragazzi. Certo, credo che il contesto abbia in generale amplificato il disagio e la sofferenza. Qualcosa evidentemente è cambiato e anche noi, come educatori, abbiamo la responsabilità di attrezzarci nel migliore dei modi per affrontare questa realtà.

Cosa è possibile fare per far sì che il progetto affronti in modo efficace la nuova situazione?

Intanto, vorrei sottolineare quanto il radicamento del progetto in cinque diverse regioni, sia stato uno strumento utile alla lettura del periodo che stiamo attraversando. Abbiamo compreso che i problemi e le difficoltà dei ragazzi sono comuni a tutti territori in cui operiamo, dal Nord al Sud. Quale la direzione in cui riorientare il progetto? Stiamo lavorando per potenziare la presenza educativa. Nelle settimane appena trascorse ci siamo trovati a dover gestire situazioni nuove, ad esempio la necessità da parte di alcuni ragazzi di assumere quotidiane terapie per il controllo dell’umore oppure tutte le problematiche connesse ad un uso importante di sostanze stupefacenti o alcol. Come educatori ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo cercato di acquisire ulteriori competenze ed esperienze; ci sarà un ancora maggiore coinvolgimento sia all’interno del progetto che con i servizi di provenienza dei ragazzi, di professionalità specifiche (pedagogisti, psicoterapeuti, counselor) proprio per garantire una completezza di risposte che sia la più efficace possibile per affrontare le singole difficoltà.

Il tema quindi è fornire agli educatori nuove competenze?

Gli educatori devono acquisire competenze ma anche più semplicemente esperienza. Non è pensabile che gli educatori diventino tuttologi, ma la loro professionalità può certo arricchirsi. E’ importante rendersi conto che talvolta non è sufficiente un intervento educativo per affrontare fragilità psicologiche che possono avere un’origine profonda e complessa ed allora è bene avere l’umiltà di chiedere appoggio e collaborazione a figure professionali specifiche. Non è un caso se alcune attività del progetto stanno acquisendo un peso via via maggiore, penso ad esempio al percorso sulla narrazione iniziato con Bianca Borriello e Stefano D’Andrea, o agli interventi sulla comunicazione emotiva della pedagogista Nicoletta Sensi, che ci segue da molti anni e ci ha aiutato nella stessa scrittura del progetto. Ci aiuta molto anche lavorare in rapporto strettissimo con i servizi invianti che hanno in carico i ragazzi. E poi c’è l’équipe educativa, composta non solo degli operatori di bordo ma anche da quelli di terra afferenti ai diversi partner territoriali, tra i quali, per fortuna, possiamo contare su competenze diverse e molto forti: psicologi, counselor, insegnanti, …. Tra queste , molto preziosa nell’ultimo modulo è la figura di psicoterapeuta Francesca Andreozzi, non a caso più presente a bordo negli ultimi mesi rispetto al passato, che stiamo valutando di attivare come figura fissa di psicoterapeuta di bordo nelle situazioni in cui è necessario un intervento maggiore.

Tiriamo le somme per i ragazzi che hanno completato la navigazione?

Ognuno di loro ha vissuto l’esperienza dei 100 giorni in mare con modalità diverse, devo dire che abbiamo ottenuto per tutti dei risultati interessanti. E ritengo che ognuno di loro oggi, al termine del viaggio, sia molto più consapevole di sé e abbia molti più strumenti per riorientare il proprio futuro. Non è stata un’esperienza semplice, per loro è stata però l’occasione per guardarsi dentro, scoprire parti di sé che non conoscevano e credo che da qui si debba partire per proseguire il lavoro a terra che è parte fondamentale del nostro progetto.

E quelli che hanno lasciato prima dei cento giorni?

I ragazzi che hanno abbandonato la navigazione sono tuttora seguiti dagli educatori nei territori. Abbiamo interrotto la relazione solo con uno di loro perché, d’accordo con lui, la famiglia e i servizi invianti, si è valutato un percorso diverso.

E’ possibile un primo parziale bilancio dell’attività educativa?

I risultati, fino ad ora, sono stati positivi. Devo dire che noi, in barca, abbiamo fatto un pezzo, ma non posso non evidenziare il lavoro nel pre e post navigazione, svolto dagli educatori territoriali che hanno accompagnato i ragazzi anche molto oltre i termini stabiliti dal progetto. I feedback che ci stanno arrivando sono incoraggianti, un quadro più sistematico ce lo avremo quando sarà ultimato il lavoro in corso per la valutazione di impatto a medio-lungo termine che fa capo all’Università di Sassari.

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